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"C'È TROPPA FROCIAGGINE". UN MONITO ALLA LOBBY GAY

Papa Bergoglio è troppo vecchio e rimbabito? È un povero anziano accerchiato dalla malefica stampa per le sue idee sulla pace? Niente di tutto questo. Lui sa esattamente quello che fa e che dice ...

“E benvenuti/a sti frocioni ...” recita il celebre ritornello del film Fracchia, la belva umana. Ritornello cui risponde Lino Banfi, nei panni di un commissario di polizia: “non sono frocione/non sono fri fri/son commissario e ti faccio un culo così”.

La saggezza della commedia all'italiana, che, non a caso, era in auge nell'età della prima repubblica e del centrosinistra, trattava così la questione dell'omosessualità, rendendola familiare, trasformando un demone nascosto e da nascondere in un oggetto che entrava, a pieno titolo, nella nostra vita quotidiana.



La stessa operazione di sdoganamento nazional popolare l'hanno fatta gli Squallor in Arrapaho. Celebre l'amore, tra uomini, di Latte Macchiato, guerriero della tribù dei Froceyenne e Cornetto Solitario della tribù dei Cefaloni. Un amore che va al di là degli steccati dell'appartenenza etnica e della morale corrente, ma che viene benedetto dal capo indiano Palla Pesante con le seguenti parole: “Ragazzi, amatevi veramente. E tu Latte Macchiato e tu Cornetto Solitario, vogliatevi bene”.



Le contraddizioni della sinistra vengono sbaragliate anch'esse dalla commedia all'italiana. Nel film La patata bollente di Steno, Bernando Mambelli detto il Gandi, operaio, sindacalista e militante del PCI, entra in contatto con il mondo gay, impersonato da Claudio, un ragazzo da lui salvato dalla violenza fascista. Tra vergogna e imbarazzi politico morali, in cui spicca il tentativo di “curare” il Mambelli dal contagio omosessuale con un viaggio in URSS, ma anche con atti di coraggio civile, ideologico e politico, l'omosessualità cessa di essere un tabù.



Ma l'omosessualità così sdoganata cos'è? Cattolicamente intesa come inclinazione verso lo stesso sesso tenuta a freno dalla castità? No, di certo. Omoerotismo che si consuma in voli pindarici letterari sul modello de La morte a Venezia di Thomas Mann? Nemmeno. Si tratta di materia viva e pulsante, sessualmente pulsante. Tra i frizzi e i lazzi non viene nascosta la natura carnale del rapporto tra persone dello stesso sesso. Anche questo viene sdoganato nella cultura nazional popolare. Renato Zero in Triangolo, cantava, complicando anche numericamente il quadro: “Il triangolo no, non l'avevo considerato ma [...] lui chi è/ loro, chi sono loro ...”


Da demone da nascondere, insidia morale, tragica “malattia piccolo borghese”, come la definiva Stalin, l'omosessualità inizia a penetrare nelle case degli italiani. L'essere umano, colto nella sua unità di desideri e diritti, non più la presunta devianza, viene posto (e considerato) al centro del ragionamento. Grazie alla grande stagione di aperture ideologiche del centrosinistra e della stagione, sottovalutata ma importantissima, della commedia all'italiana, veicolate prima dal cinema, poi dalle repliche televisive, si attua una modificazione del pensiero etico in materia di orientamento sessuale su vastissima scala che ha reso possibile le successive conquiste dei movimenti omosessuali.


Nichi Vendola ebbe a dire che aveva trovato molta più comprensione, in quanto omosessuale, nella chiesa cattolica che nel partito. Diciamo meglio: nel PCI vigeva una doppia ortodossia. Quella staliniano-togliattiana che, come già ricordato, vedeva nell'omosessualità una malattia piccolo borghese, che si saldava con una sorta di moralismo operaio che identificava un proletariato maschile secondo lo stereotipo, autoritario, moralmente ancorato alla famiglia in quanto struttura politica e che prendeva molte cose in prestito dal bigottismo cattolico.

Più l'orientamento in materia della gerarchia ecclesiastica era reazionario, più piaceva ai comunisti.


Ma la chiesa cattolica viveva una duplicità, particolarmente positiva a livello di base. Se all'esterno era rigida in quanto a costumi sessuali e morali, all'interno vigeva, come vige oggi, una politica dell'accoglienza. Spesso, in passato, la carriera ecclesiastica o monastica era una via d'uscita per uomini e donne omosessuali che non avevano diritto di cittadinanza nella società. Lì, certo, si rinunciava molto spesso all'esercizio della sessualità, limitandosi perlopiù a forme varie di erotismo confinanti con l'estasi mistica. Facendo, ad esempio, del corpo del cristo l'idealtipo del corpo maschile.

Che i seminari, i conventi, le strutture ecclesiastiche fossero pieni di quel che papa Bergoglio ha infelicemente definito “frociaggine”, era ed è vero. Ma questa, semmai, va vista come una virtù, come un tentativo, anche se poco coraggioso, paternalistico, a tratti contraddittorio, di difendere un soggetto debole, il maschio omosessuale, e un soggetto ancora più debole e vulnerabile, la donna lesbica.


Perchè Bergoglio parla di “frociaggine” allora? Facciamo un passo indietro. L'indiscrezione sulle parole del pontefice, profferite durante una riunione privata, sono state riportate immediatamente e con molta enfasi dalla stampa e circostanziate dalla Sala Stampa vaticana con due giorni di ritardo e non immediatamente. Cosa abbastanza strana. Chi capisce di comunicazione sa che quando l'intervallo tra notizia e smentita è così ampio c'è una volontà da parte di chi ha originato la comunicazione, nel nostro caso il pontefice, di farla circolare il più possibile. In genere è un modus operandi che si usa quando si vuole far capire ad una lobby di non “allargarsi troppo”.

Papa Bergoglio può essere anziano, forse anche un tantinello rimbambito, e lanciare spesso e volentieri parole in libertà. Ma la Sala Stampa vaticana è fatta da ottimi professionisti che sanno il fatto loro. Chi chiama in campo una presunta volontà di accerchiamento dei giornalisti nei confronti di Bergoglio semplicemente ignora i meccanismi della comunicazione.


Perché quindi il papa ha sentito la necessità di lanciare, forte e chiaro, un messaggio agli omosessuali nella gerarchia? Questo va iscritto in una più generale degenerazione del movimento omosessuale che da movimento di lotta, liberazione e giusta e legittima riscrittura dei rapporti di potere all'interno della società, si è tramutato in semplice lobby.

Questa mutazione genetica deriva da una più grande resa ideologica complessiva nei confronti del sistema liberale. Le libertà individuali sostituiscono i diritti civili e la giustizia sociale. I valori del cosiddetto “mercato” sopravanzano l'etica e la morale. L'esposizione dell'io individuale oscura il noi collettivo.

Dal materialismo storico (battaglie per l'identità, diritti, non discriminazione, contro la violenza omofoba) si è passati ad una sorta di teologia. Dalla parità dei diritti delle persone omosessuali, da quelle rivendicazioni e da quelle vittorie, si è passato all'inessenziale. Dai cortei in cui si fronteggiava la polizia si è passati all'italico Gay Pride, colorato, festoso, ma decisamente innocuo dal punto di vista delle rivendicazioni sociali. Una crisi, come si diceva, generale: in luogo di un corteo oggi c'è il concertone del primo maggio. Dalla giusta affermazione del fatto che anche due persone dello stesso sesso possono, se vogliono, essere una famiglia con i relativi diritti e doveri, si è passati alla preoccupazione di doversi vestire di bianco per la cerimonia.


I movimenti di protesta, spuntati delle loro motivazioni, evirati dalla loro carica “eversiva”, privati della forza che deriva dalla legittimità della giustizia sociale, regrediscono in gruppi egemonici in cui la differenza tra il “noi” e il resto del mondo si gioca sull'esercizio del potere e sulla richiesta di spazi sempre più ampi dove esercitarlo.

La chiesa non fa differenza. Le parole di Bergoglio possono essere lette come un monito alla lobby gay della chiesa. Come se il pontefice avesse detto: “vi rispetto, siete parte di noi, ma state al vostro posto. La chiesa non appartiene solo ai sacerdoti gay, ma è di tutti”.

E, dietro l'angolo, è pronto, per i trasgressori, un solenne papagno …


Mario Michele Pascale

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