Ambiguità o sano spirito di conservazione? La Serbia del presidente Vučić vuole essere parte dell’Europa senza distanziarsi dalla storica alleanza, politica e culturale, con la Russia. Riuscirà Belgrado, navigando tra Scilla e Cariddi, in questa difficilissima impresa senza inimicarsi nessuno?
Il presidente serbo Aleksandar Vučić è stato riconfermato nelle elezioni del 4 aprile 2022 con il 59,5% dei suffragi. Percentuale netta, ancora più solida se guardiamo al risultato dei suoi maggiori competitors: Zdravko Ponoš, candidato dell’Opposizione Unita, ha ottenuto il 17,5%. Miloš Jovanović del movimento Nada (Speranza per la Serbia) ha raggiunto il 5,9%.
Il Partito Progressista Serbo di Vucic ha ottenuto il 44% dei voti in parlamento, seguono l’Opposizione Unita con il 13,6%, al Partito Socialista all’11,4%.
Aleksandar Vučić, vince su altri candidati (e partiti) estremamente frammentati, che non sono stati in grado di penetrare nel tessuto sociale serbo.
LA GRANDE SERBIA
In queste elezioni è scomparsa la dizione “grande Serbia”, sostituita da “mondo serbo”. La sostanza resta la stessa. Si indica comunque l'unità politica dell’intera regione popolata da serbi. Prospettiva, sul breve e medio periodo, difficilmente attuabile. L’idea di riunire i serbi in un unico stato potrebbe realizzarsi soltanto con il distacco della Republika Srpska dalla Bosnia e Erzegovina, con il riassorbimento nella Serbia del Kosovo e del Montenegro. Cose queste che metterebbero a grave rischio gli equilibri balcanici, già particolarmente fragili a partire dalla Bosnia Erzegovina. Ma il concetto del pan serbismo è molto gradito dall’opinione pubblica di Belgrado, tant’è che è stato abbondantemente cavalcato sia dal partito di Vučić che dalla destra ultra nazionalista. Per quanto motto elettoralistico è sempre fuoco che cova sotto la cenere e, come tale, da tenere d’occhio.
LA SERBIA HA BISOGNO DELL’EUROPA ...
I sogni di gloria della Serbia non possono realizzarsi senza prima solidificare l’economia. Anche se, a maggio dello scorso anno, il Presidente Vučić dichiarava che l’economia serba è “la migliore d’Europa” e che “quest’anno, saremo il primo paese europeo per tasso di crescita e uno dei migliori in tutto il mondo”. Le cose non sono proprio così rosee. Negli ultimi anni la Serbia ha saputo attirare un numero crescente di investimenti diretti esteri. Dall’acciaieria di Smederevo comprata dai cinesi nel 2016 all’aeroporto di Belgrado concesso alla francese Vinci nel 2018, passando per il passaggio di mano di diverse banche, molte realtà economiche della Serbia sono state coinvolte in investimenti esteri che ne hanno cambiato la proprietà o la gestione. Dal punto di vista nominale questi capitali contribuiscono certamente ad alimentare la crescita dell’economia serba, ma il loro contributo di lungo termine è tutt’altro che positivo. Molti accusano la Serbia di “concorrenza sleale”. Belgrado venderebbe la manodopera nazionale a basso prezzo in cambio di investimenti che portano in ultima istanza i profitti veri fuori dai confini nazionali. Eurostat ha notato, inoltre, che, nel 2017, il 20% più ricco della popolazione serba ha guadagnato 9,4 volte più del 20% più povero, facendo della Serbia il paese con il più alto livello di disuguaglianza tra quelli candidati all’adesione all’Unione Europea.
Insomma questo grande giro di capitali, veicolato dagli investimenti stranieri, sfrutta territorio e lavoratori, lasciando ben poco nei confini nazionali serbi. Il governo non può nemmeno irrigidirsi: gli investitori stranieri scapperebbero via a gambe levate. Come uscirne? Gradualmente, facendo leva su capitali non rapaci da utilizzare per infrastrutture e miglioramento del sistema industriale e manifatturiero autoctono. Questo vuol dire un utilizzo massivo, sul modello polacco-baltico, dei fondi europei. E’ chiaro che, nel breve e medio periodo, proprio per affrancarsi senza danno dalla rapacità degli investitori stranieri, Belgrado deve aderire alla UE. Cosa benedetta anche dagli Stati Uniti. Il 26 aprile, infatti, il presidente Vučić ha avuto un colloquio con Karen Donfried, assistente segretario di stato statunitense per Europa e Eurasia. Il presidente serbo ha sottolineato che “per la Serbia è di fondamentale importanza il mantenimento della stabilità nella regione, per questo tra le priorità della sua politica estera vi è lo sviluppo e il miglioramento della collaborazione regionale”. A questo riguardo il presidente ha fatto riferimento all'iniziativa “Open Balkan”, avviata da Serbia, Macedonia del Nord e Albania allo scopo di abolire il più possibile ostacoli e barriere alle frontiere e facilitare gli scambi e la circolazione di merci, persone e servizi. L'obiettivo è la creazione di un mercato comune nella regione balcanica, che valorizzi maggiormente la sua posizione nel rapporto con i grandi mercati globali. Donfried da parte sua, sottolineando l'importanza della cooperazione regionale e dell'iniziativa “Open Balkan”, ha affermato che "gli Stati Uniti auspicano una integrazione nella Ue dell'intera regione dei Balcani occidentali".
… E DELLA RUSSIA
La Serbia pensa alla Russia, una nazione slava e cristiana ortodossa, come a un amico incrollabile e un protettore nel corso dei secoli. Chiaramente è una versione mitizzata degli accadimenti storici che si solidifica, però, sotto il ricordo, ancora vivido, dei bombardamenti della NATO avvenuti tra il 24 marzo e il 10 giugno del 1999. L’operazione Allied Force portò la devastazione in tutto il paese e soprattutto nella capitale. Costò la vita, secondo le rilevazioni di Human Rights Watch, a 528 civili. Non stupisce, quindi, l’accoglienza ostile che l’ambasciatore ucraino, Oleksandr Aleksandrovych, ha ricevuto dalla televisione serba Happy. Andato in trasmissione per catturare la simpatia dei serbi contro gli odiati russi è stato subissato dai sentimenti anti NATO.
Niente simpatia per gli ucraini e niente adesioni alle sanzoni contro Mosca. “La Serbia non metterà a rischio i propri interessi nazionali unendosi alle sanzioni occidentali contro la Russia per la guerra in Ucraina”. Lo ha detto il presidente Vučić, appena rieletto, in un'intervista al Financial Times.
Nella stessa intervista il leader serbo ha poi ricordato l'intervento della Nato del 1999: “siamo stati bombardati da diciannove paesi della Nato e sanzionati. Noi non abbiamo imposto sanzioni a nessuno perché non crediamo che le sanzioni cambino qualcosa”.
L’amicizia russo-serba si è materializzata, di recente, con due prestiti. Un primo, con l’obiettivo di migliorare le infrastrutture, soprattutto quella ferroviaria, pari ad ottocento milioni di dollari. Un secondo, pari ad un miliardo dollari, è andato a stabilizzare il bilancio dello stato nel 2013.
Se l’Europa è una prospettiva necessaria, la Russia è una realtà consolidata.
La Serbia, inoltre, dipende per l'89% delle forniture di gas e petrolio da Mosca. Forniture che, nel corso del tempo, sono state sempre stabili e a prezzi calmierati. Talmente stabili e calmierati da essere talmente affidabili da puntare strategicamente su di essi: Belgrado infatti, con il sito di stoccaggio sotterraneo di gas di Banatski Dvor, detiene uno degli impianti più grandi d'Europa. Parliamo di 450 milioni di metri cubi di capacità.
IL SIGILLO DI DIO
Anche la fede comune è parte della liason tra Serbia e Russia.
Il 27 aprile il patriarca di Mosca Kirill ha avuto una conversazione on line con il patriarca ortodosso della Serbia Porfirje. Al centro della conversazione gli eventi in Ucraina e “in particolare la situazione umanitaria nel Donbass”. Kirill ha ringraziato Porfirje per il suo sostegno e la sua solidarietà con la chiesa ortodossa ucraina. Nel corso della conversazione, il Patriarca di Mosca ha chiesto all'interlocutore di trasmettere parole di gratitudine al presidente della Repubblica di Serbia Aleksandar Vučić per l'assistenza che lo stato serbo fornisce ai rifugiati ucraini.
Kirill ha poi parlato della “difficile situazione” della chiesa russa in Ucraina e “dell'oppressione che sta subendo”. Il Patriarca serbo Porfirje ha replicato: “Condividiamo i vostri sentimenti, preghiamo per voi e siamo pronti a fare tutto il possibile per sostenere la chiesa ortodossa russa e i credenti in Russia e Ucraina”.
LE PRESSIONI DELL’EUROPA
Riuscirà la Serbia ad entrare nell’Unione Europea e, contemporaneamente, mantenere il suo legame di amicizia con la Russia? Mosca non ha problemi a riguardo. Anzi un alleato fedele all’interno dell’Europa sarebbe tutto valore aggiunto. Non è dello stesso avviso l’Europa. Il 28 aprile il capo della rappresentanza dell’UE a Belgrado, Emanuele Giaufret, ha alzato la voce chiedendo chiarezza: “Alla luce dell'aggressione russa all'Ucraina è importante che la Serbia allinei ulteriormente la sua politica con quella della Ue, compresa la politica estera e di sicurezza comune”.
Riuscirà Aleksandar Vučić a mantenere il suo equilibrio, fino ad oggi virtuoso? Virtuoso, chiaramente, per gli interessi nazionali serbi. Ma non dimentichiamo che Vučić è il presidente della Serbia e, doverosamente, deve fare gli interessi dei suoi cittadini …
Mario Michele Pascale
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