Legacoop e Ipsos fotografano una realtà drammatica: aumento dei prezzi, perdita del valore d'acquisto, contrazione dei consumi essenziali e pratiche commerciali poco corrette a danno della qualità della vita dei ceti deboli
E' stato divulgato il rapporto "FragilItalia", elaborato da Area Studi Legacoop e Ipsos. Si tratta di un vero e proprio bollettino di guerra. L'aumento dei prezzi sta costringendo il 53% degli italiani a ridurre i consumi di energia elettrica, il 44% a ridurre i consumi di gas. Il 51% ridurrà le spese per attività culturali, già ridotte all'osso. Si tratta, secondo il rapporto, di una tendenza destinata a proseguire nell'immediato futuro, che vedrà queste percentuali aumentare ancora, sopratutto per quel che concerne la cultura.
QUANTO PESA L'INFLAZIONE?
I risultati del sondaggio confermano come l'inflazione sia una "tassa" che impatta in modo più pesante sui ceti più deboli. Nel ceto popolare, infatti, la riduzione degli acquisti interessa il 74% degli italiani (contro il dato medio del 57%), quella del consumo di energia elettrica il 71% (contro il 53%), quella delle spese per attività di svago il 66% (contro il 51%) e quella del consumo di gas il 56% (contro il 44%).
L'IMPATTO SUI CETI SOCIALI FRAGILI
"L'impatto dell'incremento dei costi e dei prezzi nell'ultimo anno è stato forte e ha aumentato le diseguaglianze nel nostro Paese", commenta Simone Gamberini, presidente di Legacoop. "Per quanto il Paese abbia resistito, sia dal lato della produzione sia dei consumi, gli aumenti hanno colpito i bilanci delle famiglie in modo asimmetrico, penalizzando i ceti più fragili per i quali incidono maggiormente i consumi essenziali quali energia, mutui, alimentari.
Mentre vediamo rientrare, anche se lentamente, l'emergenza energetica, dobbiamo però richiamare l'esigenza di tutelare e sostenere i livelli della domanda. È infatti vero che l'inflazione è la tassa più ingiusta, perché colpisce indiscriminatamente tutti i cittadini, e quindi penalizza i più deboli, ma è altrettanto vero che, come più volte abbiamo detto, le politiche monetarie in corso rischiano di aggravare ulteriormente la situazione pesando, oltreché sul sistema produttivo, proprio su quegli stessi cittadini. Gli aumenti dei tassi nuovamente messi in atto sono la via opposta a quella ora necessaria nel nostro Paese. Cultura, svaghi, viaggi, acquisti non alimentari: su tutto ciò si era basata la rapida ripresa che ci ha condotto fuori dalla pandemia. Occorrono politiche pubbliche coraggiose, perché ulteriori cali nei consumi alimentano il rischio di recessione economica e di disagio sociale". Una sostanziale riduzione della spesa o rinuncia all'acquisto, rileva Legacoop, si registra per prodotti di elettronica (46%), della cultura (45%), di abbigliamento (41%), di bellezza (40%), di scarpe (39%). Relativamente alla spesa alimentare, il pesce guida la classifica delle percentuali di chi dovrà rinunciarvi o ridurne il consumo (31%), seguito dai consumi di gas ed energia elettrica (28%), da salumi, carni, alimenti per animali e carburanti (tutti al 27%). Il report contiene anche un focus dedicato, appunto, agli effetti dei rincari sulla spesa alimentare, concentrandosi sulle strategie di acquisto messe in atto dalle famiglie per fare fronte all'aumento dei prezzi dei prodotti, sui canali di vendita utilizzati per gli acquisti alimentari e sulla shrinkflation, ovvero la riduzione di quantità del prodotto contenuto in una confezione lasciandone invariato il prezzo di vendita.
LA BATTAGLIA DEGLI ITALIANI CONTRO IL "SUPERFLUO"
Per quanto riguarda le strategie di acquisto, il 51% degli intervistati dichiara di aver ridotto l'acquisto di prodotti superflui (-7 punti percentuali rispetto a settembre 2022), il 49% di limitare gli sprechi di cibo (-4 punti), il 46% di acquistare soprattutto i prodotti in promozione (-9 punti), il 42% di fare maggiori scorte di prodotti in promozione, il 32% (-6 punti) di cercare i prodotti più convenienti, anche se non abitualmente consumati. Riguardo ai canali di vendita dei prodotti alimentari, i risultati del sondaggio evidenziano un aumento medio della frequenza di acquisto del 29% nei discount (53% nel ceto popolare). In diminuzione, invece, la frequenza degli altri canali: del 27% nei negozi al dettaglio (41% nel ceto popolare), del 23% nei piccoli supermercati (ceto popolare 39%), del 14% negli ipermercati (45% nel ceto popolare), del 13% nei supermercati (41% ceto popolare).
LE AZIENDE CHE SI CREDONO FURBE VENGONO PENALIZZATE
Infine, netto il giudizio negativo (espresso da più di 7 italiani su 10), sulla shrinkflation, ovvero la pratica, messa in atto da alcune aziende, di ridurre la quantità di prodotto contenuto in una confezione per mantenerne fermo il prezzo. Quattro italiani su dieci (il 41%) la considerano una truffa ai danni dei consumatori, 3 su dieci (il 32%) la considerano sbagliata, una presa in giro dei consumatori ai quali non viene comunicata in modo trasparente la riduzione di peso della confezione.
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