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STORIA DI UNA LAPIDE, DELL’UTERO E DELL’ASSEDIO DI LISBONA di Mario Michele Pascale

Aggiornamento: 20 giu 2021

Licenza poetica sulla "G" mancante al marmetto che intitolava una piazza romana al Presidente Carlo Azeglio Ciampi in cui il motto "li mortacci tua e de tu nonno in carriola" assume un ruolo fondamentale

Ha fatto tanto discutere l’errore sulla targa che veniva apposta sulla piazza dedicata all’ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Cerimonia monca perché non è stata svelato il marmetto per tenere celato l’orrore ortografico. In pratica mancava la “G”. Azeglio si trasformava in Azelio.

Premetto: Azelio è molto meglio di Azeglio. Suona cautamente, scivola che è un amore. Quella consonante rendeva il nome duro, quasi teutonico. Per non parlare di quella brutta assonanza con l’aglio: la mente, ascoltando il nome “Azeglio” migra immancabilmente verso l’aglio, oglio (o olio, ora mi sorge un dubbio) e peperoncino in cui il cuoco ha abbondato con il pestifero ortaggio. Che, oltre ad ammazzare i vampiri, uccide anche i sapori e la socialità umana.

Virginia Raggi

Eppure tuoni e fulmini, tutti giù contro l’incapacità di Virginia Raggi. Ma mi chiedo: c’era proprio bisogno di una lapide sbagliata per capire che la buona Virginia, come sindaco, lascia un po’ a desiderare? Allora il problema non è il suo, ma di chi la valuta che, diciamo così, è stato poco attento nei cinque anni del suo mandato. L’errore semmai andava recepito con plastica bonarietà, ecumenica comprensione con tanto di pacca sulla spalla e bacetto sulla fronte, del tipo: “amore di zio, c’hai provato, non è colpa tua se sei così”.


LI MORTACCI TUA, DE TU NONNO E DEGLI ASTERISCHI

Ma non esiste malattia peggiore della supponenza della sinistra radical chic, che snocciola americanismi, ideologie neo liberal ma difetta di umanità. E che ha sommerso la sindaca di improperi, brandendo a mo’ di ascia il certificato di nascita del Presidente ed il dizionario biografico degli italiani come scudo. Ebbene il radical chic di sinistra conoscerà si la grammatica, ma ignora la sua stessa storia. Provateci voi ad andare in una sede del PD, o di Leu, o di Potere al Popolo, a chiedere cosa significa: “mortacci tua e de tu nonno in carriola”. Otterreste una non risposta imbarazzata. Una risposta anche violenta se la domanda è posta ad una femminista, la quale subito vi apostroferà per la volgarità (quale non si sa, del resto se uno è morto è un dato di fatto. Che sia “ino” “etto” o “accio” poco importa. Comunque lui non si offende) e per il vostro rozzo sessismo. Mortacci? E le mortacce, dove le mettiamo, le mortacce? Pretenderà, quindi, che la dizione popolare si trasformi in “L* mortacc* tua e de t* nonn*”, dato che esistono sia nonni che nonne.

Quanto alla carriola, ve la abbuonerà. Ciò che è femminile è sempre ben fatto.


WALTER BENJAMIN A GARBATELLA

Ma sul dato culturale, ovvero il nesso tra mortacc* e carriola, il/lo/la radical chic di sinistra resterà in silenzio. Dato che, parafrasando Walter Benjamin, egli guarda al radioso futuro dei nipoti, ai loro Rolex, dimenticando gli avi che furono schiavi.


NONNI IN CARRIOLA

Il nonno in carriola in una rappresentazione d'epoca

Dovete sapere che a Roma, nell’età moderna, gli anziani che non potevano essere assistiti dai loro familiari venivano portati negli spedali. Ricevevano cure palliative, un po’ di cibo, ma sostanzialmente erano parcheggiati in attesa di morire. Moltissimi di loro non deambulavano ed arrivavano nel luogo prestabilito adoperando il mezzo più economico ed accessibile dell’epoca: la carriola. L’anziano veniva adagiato lì, messo a sedere, e trasportato con poco affanno verso la sua nuova destinazione. Molti di loro erano talmente messi male che toglierli da quella posizione era praticamente impossibile e, spesso, l’operazione non veniva nemmeno tentata. In mancanza di giacigli era meglio che il vecchietto rimanesse dov’era. Per cui gran parte dei nonni morivano nella carriola, il più delle volte nuotando nei loro escrementi.

Ecco quindi che il motto “li mortacci tua e de tu nonno in carriola” indica l’essere decisamente disgraziati, poveri, schiuma della terra, ultimi degli ultimi.


Torniamo a Virginia Raggi. Virginia è, in quanto sindaco, responsabile per quella “G”. A sua parziale discolpa possiamo dire, però, che non rompe le scatole con gli asterischi, si guarda bene dal preparare il fulgido destino dei nipoti dei romani e in quanto a “mortacci tua”, come tutti i sindaci che l’hanno preceduta, è ben abituata a sentire l’invettiva quasi fosse una cantilena natalizia.


L’UTERO E L’ASSEDIO DI LISBONA

Ora veniamo alla lettera mancante. Siamo davvero certi che un errore così vistoso sia sbagliato?

Una leggenda metropolitana, particolarmente diffusa tra san Lorenzo e viale del policlinico, narra che negli anni ‘60 un tipografo dovesse stampare un volume di storia dal titolo “Lutero e il suo tempo”. Deve sapere il lettore di giovane età che in quegli anni i tipografici erano l’avanguardia del movimento operaio: dovevano saper leggere e scrivere ed avevano il peso della composizione dell’opera, che avveniva “a piombo”, ovvero mettendo una lettera dopo un’altra. Una responsabilità enorme. Ebbene il nostro tipografo era uomo del suo tempo: sindacalmente maturo, autodidatta, avvezzo alle battaglie sociali e per i diritti. Guardando il titolo fece: “Lutero, Lutero… e che è stò Lutero? Chi l’ha sentito mai. Sarà l’utero. L’utero certo che esiste, ma stò Lutero… l’autore si sarà sbagliato, qui ci va un apostrofo. E poi una minuscola, pure. Dopo l’apostrofo ci va sempre la minuscola”. E fu così che Lutero divenne L’utero. Del resto negli anni ‘60 un libro dal titolo “L’utero e il suo tempo” sarebbe stata una cosa normalissima, se non un best seller. E’ evidente che di libri su Martin Lutero ne è pieno il mondo. Porre invece il problema dell'emancipazione femminile con tanta radicalità in quegli anni non era semplice. Il nostro buon tipografo c’è riuscito. Mai errore fu tanto foriero di libertà e progresso culturale.


Ma direte voi: il tipografo luterano è leggenda. Può essere. Ma Josè Saramago, autore de Storia dell’assedio di Lisbona, esiste ed è stato insignito anche del premio Nobel per la letteratura. Protagonista della narrazione è il revisore di bozze Raimundo Silva. Questi si trova a correggere la Storia dell'assedio di Lisbona del 1147. Il libro ricostruisce il tentativo del Re Afonso Henriques di riconquistare i territori portoghesi sottratti dai mori più di trecento anni prima, per dar vita così al futuro regno di Portogallo. Durante l'assedio passano da Lisbona i Crociati provenienti dal Nord e diretti in terrasanta. A loro Re Afonso si rivolge chiedendo e ottenendo aiuto nella conquista della città.

Raimundo Silva, cedendo a un'improvvisa quanto inspiegabile tentazione, aggiunge un "non" al testo originale. I Crociati "non" aiuteranno i portoghesi. Cambia così la storia ufficiale.

Viene convocato nella casa editrice per una solenne ramanzina. Uscirà di lì con l’ammirazione dei suoi superiori che lo incoraggiano a scrivere una sua Storia dell'assedio, tenendo fede al "non" aggiunto con tanta audacia e disprezzo della tradizione.


Il “non” equivale all’apostrofo. E’ comunque un atto di coraggio, di sfida alle convenzioni, un tentativo di togliere polvere e muffa dalla storia per attualizzare il pensiero e rendere feconda un’azione. Il “non” e l’apostrofo sono il progresso. La grammatica e la tradizione sono pedanteria.


“TOGLIETE IL DRAPPO DELLA VERGOGNA”

Il Presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi

Sono certo che il Presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi, in quella porzione di alto dei cieli in cui vengono ospitati i Presidenti della Repubblica dopo la loro morte, abbia guardato con interesse la faccenda e con aria sorniona abbia concluso: “Azeglio, Azelio Azelio è meglio, molto meglio”. Pare, anche, che Sandro Pertini abbia annuito e, tra uno sbuffo di pipa e l’altro, abbia sentenziato: “togliete il drappo della vergogna, viva Azelio, viva l’Italia!”.


MARIO MICHELE PASCALE


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