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ZINGARETTI VOLA A MONTECITORIO. LASCIANDO IL PD E LA SINISTRA NEI GUAI

Aggiornamento: 9 mar 2023

Cosa ne sarà della regione nel dopo Zingaretti? Bruno Astorre è già al lavoro, ma i problemi sono tanti e lo schema del “campo largo” è scarsamente praticabile

Nicola Zingaretti saluta tutti e va a Montecitorio. Un indubbio riconoscimento per il suo ruolo nel partito che giunge alla fine di un percorso politicamente significativo e costellato di onori, ma vissuto, dal punto di vista umano, più come un limite che come una possibilità.


ZINGARETTI. IL POLITICO E L’UOMO

Spesso, tra i corridoi della pisana e di via Rosa Raimondi Garibaldi, si sono uditi lamenti sulle sue mancate presenze ai consigli regionali, a volte ampiamente giustificati da serie necessità istituzionali, a volte molto meno. Spesso, Nicola, come lo chiamano tutti in un fervido e corale esempio di “tu” aziendale, ha sottolineato la sua stanchezza, minacciando più volte di mollare tutto ed andare via. In più di un’occasione, nelle riunioni di maggioranza, accanto alla sferzata alle sue truppe (cosa ampiamente legittima da parte di un comandante in capo), ha aggiunto la nota personale, melanconica, crepuscolare del “me ne vado”.

Esiste, accanto all’indubbia abilità politica, capace di tenere in piedi fino alla fine un’anatra zoppa e una maggioranza traballante e a vincere praticamente tutte le competizioni elettorali nelle quali è stato impegnato, anche un’istanza umana, tardo romantica … fragile.


Ed io lo capisco. Nicola ha fatto sempre l’amministratore, a parte la sua parentesi al parlamento europeo. Gestendo il partito come segretario di federazione e segretario nazionale, la provincia di Roma e, appunto, la regione.

Per quanto prestigiosa questa è pur sempre routine e, come tale, all’inizio stanca, poi uccide.


Come leggere, sennò, le subitanee dimissioni da segretario del PD dopo l’ennesima marcia trionfale di “piazza grande”? Certo la motivazione fu seria. Lui voleva un cambiamento che il partito rifiutava con una eterna melina.

Sulla natura del cambiamento prospettato da Zingaretti non vi sono però documenti consultabili. Esso resta, quindi, avvolto nel mistero.

Insomma: non mi ascoltate? Non voglio perdere tempo con voi. Vado via!

Legittimo. Ma mi permetto di aggiungere: Nicola Zingaretti è stato eletto come segretario del PD, che è a sua volta erede di due apparati stracolmi di volponi e di gente che, se vuole, ti rivolta come un calzino. Il PD, lo sanno tutti, è come Saturno che, come si sa, aveva la consolidata abitudine di divorare i suoi figli.

Pare strano che Zingaretti, con tutta la sua esperienza e le sue indubbie capacità, si sia presentato tra i cannibali in quanto vegano, rosicchiando un sedano.

Altrettanto strano appare il fatto che Nicola, politico esperto, abbia fatto di tutto tranne che costruire una corrente organica, come ha fatto, ad esempio, Franceschini. Certo Roma e il Lazio sono pieni di Zingarettiani, di uomini e di donne che, ogni giorno, fanno professione di fede. Non solo nel PD. Esistono uomini e donne di Zingaretti in ogni formazione politica, oserei dire in ogni condominio. Persone che si getterebbero nel fuoco per il presidente della Regione Lazio.

E qui il nodo viene al pettine. E’ facile essere con Nicola quando Nicola è presidente della regione. Dopo, da semplice deputato, privo dello scettro del comando e della spada del Leviatano, quanti ancora faranno quadrato intorno a lui?

E cosa vuol dire essere “zingarettiano”? Senza offesa, la riflessione teorica non era il suo forte. Culto del giovanilismo? Start up? Diritti civili?

Beh ... queste sono cose che qualsiasi leader del fronte progressista di medio spessore può dare, soprattutto ad un livello altrettanto vago.

La differenza era che Nicola aveva enormi capacità amministrative e riusciva a tradurre la vaghezza in solida pratica e altrettanto solido consenso.

Ma senza il trono, senza aver creato un vero e proprio esercito, senza più burocrati a sua disposizione, cosa farà Nicola Zingaretti?


BRUNO ASTORRE E LA CAMPAGNA PER LE REGIONALI 2023

Veniamo alla preoccupazione maggiore, la nuova guida della regione. Quando l’ex presidente sceglierà di diventare deputato, diventerà incompatibile nel ruolo di governatore e dovrà quindi dimettersi. A quel punto scatterà il conto alla rovescia di novanta giorni, quindi altri tre mesi, entro i quali bisognerà andare a votare.

Facendo due conti si dovrebbe andare alle urne a febbraio 2023.

Bruno Astorre, segretario regionale del PD, immediatamente dopo il risultato delle consultazioni elettorali nazionali ha pubblicato un post (che vi allego) dove insieme alla dizione Intelligenti pauca, ovvero “alle persone intelligenti bastano poche parole per capire”, metteva insieme i voti del PD, del terzo polo e del Movimento Cinque Stelle, dimostrando, numeri alla mano, che le future elezioni regionali si potrebbero anche vincere.

Mi pongo un problema: perché si reputa possibile un'alleanza così vasta?


IL TERZO POLO, OVVERO MEGLIO UN MARCHIGIANO ALL’USCIO CHE UNO CHE VIENE DAI PARIOLI E UN TOSCANO INSIEME

Calenda, quando va da solo, ha uno spazio mediatico e politico enorme. Potrebbe replicare quanto fatto a Roma e tirare fuori, come presidente, una candidatura della sua lista. Del resto il duo Carlo & Matteo, alle politiche, ha tirato fuori dal cilindro una strategia cinica ma vincente.


Il giochetto era allontanare con un diktat il PD dal Movimento Cinque Stelle, fare l’alleanza con il PD per poi abbandonarlo lasciandolo in mutande. Questo aveva come obiettivo quello di scardinare la centralità politica dei democrats. Con il terzo polo a destra e Fratoianni e i Verdi a sinistra Enrico Letta si sarebbe posto come mediatore di istanze diverse, contando su consensi maggiori, alleati deboli, e garantendo la stabilità del fronte elettorale ed eventualmente del governo. La vecchia cara “egemonia” e “vocazione maggioritaria” del PD. Carlo Calenda, con la sua “mossa del cavallo”, ha colpito al cuore la consolidata ed immutabile prassi elettorale del Partito Democratico. Che si è ritrovato con due elementi scomodi a sinistra che sono stati più un peso che un utile.

Ovviamente Carlo & Matteo sono stati gli esecutori materiali di questa manovra. L’uno, Carletto dai Parioli, è troppo tronfio di sé, borioso ed egocentrico per ragionare sul medio e lungo periodo. L’altro, Matteo d’Arabia, ha un’intelligenza molto sviluppata ma, ahinoi, estremamente provinciale e votata al commercio di bestiame più che ai grandi affreschi. Ambedue sono troppo rozzi per una tattica politica così fine. Si sarebbe tentati di cercare un mandante più dotato e raffinato …


Detto ancora più chiaramente: l’obiettivo del Terzo Polo era il PD. Volevano fare come Macron con il Partito Socialista francese, colpire al cuore per poi vampirizzare. Questo era molto più importante, per loro, che governare.

Perché nel Lazio, dopo il successo di questa strategia, il Terzo Polo dovrebbe cambiare modus operandi? Soprattutto con un Calenda che ha già dimostrato di disdegnare ossi e strapuntini ma gioca la sua partita per conquistare, come si dice a Roma “tutto il cucuzzaro?”


COLPA DI CONTE!

Dopo la sconfitta elettorale Letta il giovane non ha dato le dimissioni, limitandosi a dire che “non si ripresenterà”. E fin qui è comprensibile. Un congresso istantaneo non farebbe altro che aggravare, psicologicamente, l’entità della crisi del partito. Quel che risulta francamente incomprensibile è che il segretario del PD continui a dare la colpa del tracollo a Conte e ai cinque stelle. Insomma non pago del magro risultato, della sua geometria politica sbilenca e dell’aver sottovalutato Calenda, Enrico Letta non è in grado di analizzare serenamente il dato elettorale che imporrebbe una ricucitura immediata, istantanea con Giuseppe Conte ed il suo movimento ed uno spostamento subitaneo a sinistra del PD, giacché la “vocazione maggioritaria” oggi è impraticabile.


Lo strappo tra PD e M5S a livello nazionale pesa ancora. Oltretutto il risultato elettorale ha chiaramente definito che un movimento che si ponga in antitesi con i democrats non solo sopravvive, ma è anche in grado di rilanciare.

La regione Lazio era, in Italia, il luogo in cui vi erano i migliori rapporti tra PD e Cinque Stelle. Tant’è che, alla fine, il movimento è entrato nel governo regionale. Una corrispondenza d'amorosi sensi che ha resistito anche alla pressione di Virginia Raggi che più volte si è fatta vedere ai consigli regionali, in modalità puffo saltellante e nervoso, per arringare il gruppo regionale che, in buona sostanza, l’ha sempre ignorata, se non peggio. Come dimenticare l’invito di Roberta Lombardi, prima consigliera alla pisana poi assessore in regione, rivolte all’ex sindaca di Roma ad: “uscire fuori dal balconcino”.


Eppure, senza un atto “riparatore” da parte di Enrico Letta, senza la ripresa di un dialogo nazionale, è quasi impossibile che PD e M5S possano sostenere lo stesso candidato presidente. Questo non per volontà dei Cinque Stelle, ma perché il segretario del PD è ancora rimasto ancorato al fantasma dell’agenda Draghi e ancora porta rancore per l’atto di lesa maestà contro Supermario, quasi Draghi fosse suo padre …

NICOLA, NICOLA …

Le difficoltà, per il PD orfano di Nicola Zingaretti, sono tante. Ma guardiamo il bicchiere mezzo pieno. La destra è inebriata dal successo elettorale nazionale e non ha ancora messo mano alla questione regionale. A destra ci sono i voti, ma manca una classe dirigente capace di rappresentare una valida alternativa. A sinistra del PD, a parte il movimento cinque stelle, vi è ben poco. Sicuramente non in grado di sottrarre voti ad un candidato dei democrats.


Vediamo il bicchiere mezzo vuoto, adesso. Alle ultime regionali Nicola Zingaretti ha vinto non tanto per la forza del suo schieramento, ma perché la destra non è stata in grado di allestire una candidatura unica. La proposta zingarettiana era già vecchia cinque anni fa. Il solito poema per i “gggiovani” (con tre g), una visione dell’economia molto “figa” e incentrata sull’innovazione, diritti civili. La realtà delle cose ci parlava e ci parla una lingua diversa. Il vero problema non sono i “gggiovani” ma i cinquantenni. Se i cinquantenni perdono il lavoro non sono più in grado di pagare mutui e bollette, i figli non avrebbero più un tetto sulla testa, non potrebbero frequentare l’università perchè non in grado di pagare le tasse universitarie.

Certo le start up e gli spin off hanno un loro fascino. Sono cool come un aperitivo ai navigli. Ma quante di queste bellissime idee, che drenano fondi pubblici come le idrovore dell’agro pontino succhiano l’acqua, riescono a stare da sole sul mercato? Quante sono state aperte e chiuse? Nel frattempo i bar, i ristoranti, gli artigiani, che sono la vera spina dorsale dell'economia, falliscono, con ricadute sociali enormi.

Domanda: che cos’è la libertà (quindi i diritti) senza giustizia sociale? A questo interrogativo Sandro Pertini diede una risposta scolpita sulla pietra, che qui vi riporto …


CONCLUSIONI ED AUGURI

Concludendo. Auguri a Bruno Astorre, segretario regionale del PD. Ha, di fronte, un compito arduo. Da registrare anche la mia ammirazione nei suoi confronti. Ad oggi è l’unica persona lucida nel PD che cerca, tra mille difficoltà, di tracciare una strada per risalire la china. Ne ha le capacità. In bocca al lupo.


Il mio solenne in bocca al lupo a Nicola Zingaretti per la sua nuova vita come parlamentare. Nella speranza che possa realizzare sia la sua natura umana che quella politica. Ma non posso esimermi dal dire che forse, in tutto questo tempo, avrebbe potuto governare molto meglio la transizione e la sua successione, preparando un terreno meno accidentato per il suo successore alla guida della coalizione di centro sinistra.

Un vero leader lo si vede anche quando saluta e fa “ciao ciao”.


Mario Michele Pascale



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