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COLPO DI STATO IN NIGER. UN COLPO AL CUORE ALLA FRANCIA E AGLI STATI UNITI di Mario Michele Pascale

Tutto inizia con la destabilizzazione della Libia, voluta dall'Occidente, che aprì le porte al radicalismo islamico
Bandiera russa in strada in Niger

Correva l'anno 2011. Il presidente nigerino pro tempore, Mahamadou Issofou, disse senza peli sulla lingua ai leader occidentali che l’intervento in Libia avrebbe trasformato il paese in un’altra Somalia, offendo un’incredibile opportunità all’islamismo radicale. L'allora presidente della Commissione dell’Unione Africana, il gabonese Jean Ping, all'indomani dell'attacco alla Libia, rincarò la dose: “l’Unione Africana è stata totalmente ignorata, nessuno ci ha consultato”. Tant'è che mentre si bombardava Tripoli l'organismo transnazionale africano era impegnato in una difficile, ma ancora aperta, mediazione diplomatica. Ping aggiunse: “avevamo i nostri piani, saremmo dovuti andare a Tripoli il 18 marzo e il 19 essere a Bengasi. Ma siamo stati fermati”. Più che fermati, platealmente ignorati. Tanto per cambiare gli Stati Uniti avevano già i loro immodificabili piani. Cosa contavano gli africani? Ben poco.


L'attuale situazione del Niger è figlia della destabilizzazione della Libia, del tramonto definitivo dell'idea di costituire, come voleva il colonnello Gheddafi, un'unica patria araba, laica e non confessionale, “dall'Atlantico al Mar Rosso”. Gettando via 'acqua sporca con tutto il bambino gli Stati Uniti hanno debellato l'unico grande argine al radicalismo islamico che, poi, si è diffuso come una metastasi in tutto il Sahel.


Il 28 luglio il generale Abdourahamane Tchiani, capo della guardia presidenziale, è stato proclamato nuovo leader del Niger destituendo il presidente Bazoum. Tchiani ha assunto la presidenza del Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria (CNSP). Crisi economica e sicurezza i suoi cavalli di battaglia. Con questi anche un mai sopito sentimento anti coloniale. Soldati statunitensi, canadesi, francesi, italiani, tedeschi, hanno presidiato, con base in Niger, il quadrante il Sahel. Ufficialmente per tenere a bada i jihadisti (missione fallita) e i trafficanti di esseri umani (missione doppiamente fallita) molto più verosimilmente per mantenere sotto tutela governi che mal sopportavano il perdurare dell'influenza post coloniale francese. Gli Stati Uniti hanno partecipato al gioco avendo in cambio, da Parigi, notevoli rassicurazioni sulla frontiera Est della Nato, quindi, sulla questione ucraina. Parliamo, oltre al Niger, di Ciad, Mali, Mauritania e Niger. L'Italia ha fatto la sua parte con la “Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger - MISIN" (con area geografica di intervento allargata anche a Mauritania, Nigeria e Benin). Scopo dichiarato della missione “incrementare le capacità volte al contrasto del fenomeno dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza, nell’ambito di uno sforzo congiunto europeo e statunitense per la stabilizzazione dell’area e il rafforzamento delle capacità di controllo del territorio da parte delle autorità nigerine”.


Le ingerenze politiche e militari non sono piaciute agli “indigeni”. Burkina Faso e Mali hanno dato il ben servito alle missioni occidentali. Tchiani ha già ricevuto la bolla di scomunica da Emanuel Macron. Di converso continua la penetrazione cinese e russa nella regione. Accanto al nuovo presidente del Niger ci sono gli uomini della Wagner. Nelle strade campeggiano bandiere russe esposte dalla popolazione locale. Di certo è forte l'interesse russo a contrastare i piani euro americani nella regione. Dopo la guerra in Ucraina più che mai: il Niger, con pochissimo sforzo, diventa una sorta di “secondo fronte” di cui si dovranno occupare sia gli Stati Uniti che i paesi europei aderenti alla Nato. Una situazione difficile che può facilmente degenerare, ma che, intanto, divide le forze ed indebolisce Washington e i suoi alleati.

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