La vita, l'opera le colpe reali e quelle immaginarie di Silvio Berlusconi
L'Italia è un paese strano. Basta morire per essere santificato. I cori di beatificazione non si fermano nemmeno per Silvio Berlusconi. Di più: maggiore è la quantità di letame di cui sei stato ricoperto in vita, maggiore sarà la velocità con cui si passa tra le schiere dei padri della patria. E' un destino atroce, che non tiene conto né di meriti né di demeriti, non analizza le idee e le azioni, schiaccia tutto sul dato cimiteriale. Con l'aggravante che se cadi da un'implacatura di otto metri mentre lavori, dopo un rapido passaggio nel TG del giorno dove magari vieni nominato solo come “un operaio”, nessuno più si ricorderà di te. Ma se sei “uno del giro”, non preoccuparti: un posto nel Pantheon è assicurato. La morte non è “una livella”, ma conferma le discriminazioni sociali esistenti in vita. Magari esistono anche paradisi “economy”, “business” e “vip”. Ma questo lo scopriremo dopo la nostra dipartita.
Detto questo il migliore servizio che possiamo rendere alle persone, compreso Silvio Berlusconi, è di collocarle nel loro tempo e di analizzare i fatti. Cosa che cercherò di fare nel prosieguo di questo articolo.
L'UOMO ...
Berlusconi studia dai salesiani. Non dai gesuiti. Riceve quindi un imprimatur forse meno dotto, meno filosofico rispetto a quello di un Bersani, ma di certo molto più orientato verso la realtà delle cose. Non gravitando negli ambienti gesuitici Silvio resta immune alla grande ubriacatura collettiva della riforma della chiesa e del ruolo dei cattolici in politica che sfocerà nel Concilio Vaticano II. Si laurea in giurisprudenza ricevendo anche un premio in denaro per la sua tesi che verteva (quando dici il destino) sulle inserzioni pubblicitarie. Come imprenditore inizia dal mattone: nel 1964 fonda Edilnord e nel 1978, dopo la famosa sentenza del 1976 che apre alle Tv private, acquista Tele Milano, che poi diverrà Canale 5. Nel 1986 acquista il Milan. Il resto è cronaca.
... LA POLITICA
Silvio Berlusconi politicamente nasce socialista, gravitando nella cerchia milanese di Bettino Craxi, cui accede tramite l’architetto milanese Silvano Larini. I rapporti con Craxi non furono solo politici, ma anche personali. Il leader socialista, infatti, sarà il padrino, nel 1984, del battesimo di Barbara Berlusconi, figlia di Silvio. Il cavaliere inaugura così, forse prendendo spunto dal modus operandi bizantino e da quello asburgico, la “politica” del battesimo e della testimonianza di nozze, che lo porterà ad essere testimone, tra gli altri, del matrimonio di una delle figlie di Erdogan.
VERSO FORZA ITALIA
Orfano di Craxi, Berlusconi è in cerca di nuovi agganci politici. Guarda la realtà delle cose: l'eliminazione della vecchia classe dirigente operata da tangentopoli. Il “calarsi le braghe” di quel che rimane della classe dirigente del PSI intontita e non in grado di allestire una risposta pratica e dialettica al giustizialismo. I grandi interessi geo politici che guardavano agli ex comunisti come soggetto politico principale nel paese. Silvio Berlusconi si rende conto che a sinistra non ci sono più nemmeno posti in piedi e che la sua posizione forte nel mondo dei media lo rende un bersaglio mobile più che un valore aggiunto.
Non resta che lo spazio moderato, reso libero dal collasso dei cattolici organizzati, e il dialogo con le destre.
La svolta è suggellata dalla famosa dichiarazione all’uscita dell’Euromercato di Casalecchio del Reno, dove il cavaliere fa un inaspettato endorsement a favore di Gianfranco Fini dicendo che lo avrebbe votato a Roma nella competizione elettorale contro Francesco Rutelli. Ed è lì che inizia l'odio delle sinistre contro Berlusconi. Fino a quel momento Silvio era uno dei tanti imprenditori ex socialisti che, nell'ottica dei DS-PDS, si sarebbero potuti prendere all'amo con una modesta esca.
A destra non vi erano leader credibili. Gianfranco Fini era ancora in fasce e gravava, su di lui, l'ombra di Giorgio Almirante. Il resto era revanchismo fascista che soffocava, per carenza di ossigeno, fuori dalle sezioni di partito.
Silvio quindi rompe gli indugi: chi fa da se fa per tre. Nasce Forza Italia.
FORZA ITALIA
La nuova formazione politica è una reale novità nella scena politica italiana. Il partito si radica territorialmente attraverso i quadri della Publitalia 80, la concessionaria di pubblicità delle reti TV. Eredita gli amministratori locali orfani del pentapartito e, con essi, anche settori di destra che non si trovano a loro agio nel MSI.
Ma per far funzionare la baracca non servono solo “venditori”, capaci di andare a caccia di preferenze negli enti locali, ma anche un ponte di comando degno di questo nome. Silvio Berlusconi dà asilo a quel che resta della vecchia classe dirigente socialista ed apre le sue porte a tutti quegli ambiziosi enfant prodige ex comunisti che non riescono a trovare una collocazione degna nella nuova sinistra. Giuliano Ferrara è un nome a caso.
Forza Italia è un giano bifronte. Ha un corpo moderato, a tratti reazionario, e una testa liberale. Riesce a trovare un punto di equilibro solo nella sua figura. Forza Italia porta tanti elettori, tendenzialmente di destra per non dire reazionari, su di un terreno liberista.
La nuova formazione eredita, dal PSI di Craxi, l'anti comunismo viscerale ed una visione nazional patriottica, a tratti peronista, e una ferma volontà di protagonismo a livello internazionale.
LA POLITICA ESTERA
Berlusconi piaceva poco agli Stati Uniti. Il suo atlantismo non è stato mai messo in discussione, ma le sue “scappatelle” in politica estera preoccupavano non poco gli alleati e i ministri degli esteri dei suoi governi, che poi ci dovevano “mettere una pezza”. Celebri i dissidi con il compianto Franco Frattini. Eppure nel periodo dei sui governi il nostro paese godette di un rinnovato prestigio: ricucì i rapporti con la libia di Gheddafi. Operò una dialettica forte, politica ed economica, nel Mediterraneo. Aprì al dialogo con Vladimir Putin che, all'epoca, era ancora un “oggetto strano” tirato fuori dal cilindro dagli eredi di Boris Eltsin. In Europa l'Italia cercava di contenere il dualismo franco tedesco. Il tutto, però, in un quadro di ampia adesione ai valori dell'Occidente.
L'obiettivo erano, sempre, gli interessi commerciali del paese.
Berlusconi anticipò Trump: i rapporti con i leader stranieri erano di natura molto personale e poco politica. Per quanto anticomunista sfegatato Berlusconi amava Putin, ex uomo del KGB. Per quanto poco collimassero gli interessi turchi con quelli italiani, Erdogan era un amico. Gli incontri informali superavano quelli organizzati dalla Farnesina.
La libertà è una gran bella cosa, ma ha un prezzo. Il duo franco tedesco attaccò economicamente l'Italia con lo Spread. Gli Stati Uniti, polverizzando la libia di Gheddafi, spezzarono le reni al protagonismo italiano nel Mediterraneo.
HA STATO SILVIO!
A Silvio Berlusconi si addita l'abbassamento, culturale, etico, valoriale, della società italiana. Certo le reti TV Mediaset non mandavano in onda Il mulino del Po. E non c'era un grande orientamento pedagogico in Colpo grosso, ma il presunto decadimento morale dell'Italia è davvero tutta colpa di Silvio?
Secondo me no.
Il primo mito da sfatare è che il berlusconismo tarpava le ali della cultura. Quando acquisì la Mondadori e, con essa, una grande fetta della distribuzione libraria, l'unica operazione personale condotta da Berlusconi fu la stampa e la distribuzione de Il libro nero del comunismo. Non ci furono né epurazioni né liste di proscrizione tra gli intellettuali, come poi sono venute fuori durante la guerra in Ucraina, dove il solo parlare di cultura russa (per non parlare della pace) poteva costare l'interdizione dalle università.
Il problema della cultura italiana è coevo al ventennio berlusconiano, ma affonda le sue origini da un lato nella diffusione delle idee di Jameson relative al post moderno, recepite al ribasso nel nostro paese come mera destrutturazione “virtuosa” di una cultura critica, dall'altro il “calarsi le braghe” di fronte al recupero e al rilancio della cultura di destra (mi riferisco a Martin Heidegger) operata da intellettuali di sinistra come Massimo Cacciari.
La cultura italiana di quel tempo muore di morte naturale, non per colpa di Berlusconi.
Il secondo mito da sfatare è che il decadimento morale del paese nasce dalla sua figura umana. L'ossessione per la vita intima, privata, di Silvio Berlusconi ha raggiunto vette patologiche. Eppure parliamo di una “vita privata” che, come tale, dovrebbe essere fuori dalla sfera del politico. Fa irruzione, nella opinione pubblica italiana, un moralismo quacchero che poco ha a che fare con il permissivismo cattolico in materia di costumi. Un morbo che, costruito in laboratorio per essere adoperato contro Berlusconi, ha mietuto molte, troppe vittime, a cominciare dall'ex presidente della regione Lazio, Marrazzo, messo in croce e rinchiuso in convento per le sue preferenze sessuali “poco ortodosse”.
Il terzo mito da sfatare è che Berlusconi sia stato un autocrate, un reazionario illiberale, in altri termini un “fascista”. Del resto ogni volta che vinceva un'elezione si gridava al “pericolo democratico”.
Semplicemente: non mi risulta che, durante i suoi mandati, la democrazia italiana e lo stato siano mai stati in pericolo. I militari sono rimasti nelle caserme. Le grandi trasformazioni di cui oggi paghiamo le tragiche conseguenze, come la dismissione dell'industria di stato e l'adesione all'euro, sono state fatte da altri attori, non da lui.
LE COLPE DI SILVIO BERLUSCONI
Empatico, simpatico, coinvolgente anche quando risultava antipatico, Silvio Berlusconi coltivava comunque un lato oscuro.
Il suo garantismo, che era sicuramente all'inizio un dato genuino proveniente dall'esperienza socialista e dall'odio verso tangentopoli, pian piano prese coloriture personalistiche. Detto meglio: diventò funzionale ai propri interessi personali ed economici, perdendo (purtroppo) uno slancio che avrebbe fatto bene all'intero paese e all'idea di giustizia.
Le sue TV portavano avanti una legittima, per quanto discutibile, visione del mondo e della società italiana. Ciò che era sbagliato era la funzionalizzazione dell'attività politica, di Forza Italia e a tratti della sua coalizione di governo, alla difesa degli interessi economici e di mercato delle sue emittenti.
Sul piano politico, anche se egli si professava liberale, non sempre è riuscito a tenere a freno le istanze retrograde che facevano capolino nel suo partito. Alle volte cedendo, sopratutto ai cattolici reazionari, ha fatto un cattivo servizio proprio all'idea liberale.
In finale: Silvio Berlusconi ha utilizzato in più di un'occasione la res publica per il suo tornaconto personale. Ma di certo non fu solo un satiro ebbro né un docile strumento degli interessi statunitensi e franco-tedeschi.
Può essere dannato per questo o possono i suoi pregi eguagliare i suoi difetti?
E' un interrogativo che consegniamo ai nostri lettori, oltre che alla storia.
Mario Michele Pascale
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