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INCREDIBILE ESEMPIO DI “BRUTTA SCUOLA”. UN BAMBINO INTELLIGENTE? NOI NON LO VOGLIAMO

Impossibile ma vero. Tra genitori velenosi e docenti incapaci, la soluzione trovata è stata quella di umiliare a morte un bambino di soli otto anni e i suoi genitori.

Un bambino con un quoziente intellettivo superiore alla media, bilingue, rapidissimo nei calcoli di matematica che riesce a suonare gli strumenti musicali senza averli studiati è un valore aggiunto per una scuola? Può essere di stimolo per i suoi colleghi? E' un elemento da seguire con attenzione e da valorizzare? Di certo si. Ma si sa, gran parte delle mamme e dei padri che stazionano davanti alle scuole elementari e medie sono animali strani. Presi singolarmente possono apparire innocui. In coppia sono terribili. In branco poi devastanti.

Ognuno di noi, che è genitore, ha ben presente la differenza tra l'essere umano e il genitor scolasticus avendo colto questa peculiarità sul campo.


Un bambino di otto anni, sovradotato, è anch'egli un oggetto strano. Esula dalle statistiche, è un problema amministrativo e didattico, giacché con il suo essere “troppo avanti” disturba la routine dell'insegnamento e pone i docenti di fronte a forme di didattica differenziate e, forse, troppo faticose. Come racconta l'agenzia Dire, al principio la scuola ha pensato all'intelligenza al di sopra della norma come ad una forma di disabilità. Secondo alcuni docenti, infatti, avrebbe avuto bisogno di un’insegnante di sostegno, salvo poi accorgersi (ma guarda un po') che “la diagnosi di iperattività con funzionamento intellettivo superiore alla media non aveva rappresentato un requisito per il riconoscimento dell’invalidità”.

Bene. Ora sappiamo, con assoluta certezza che una persona intelligente non è da ritenersi invalida.

La docente di matematica, sempre secondo quanto riportato dall'agenzia Dire che ha raccolto la dichiarazione della madre dell'alunno, “si ostinava a definire mio figlio disabile e fastidioso”. Forse perché ne sapeva più della maestra ...


Nonostante tutte le discussioni, i pareri discordanti, la burocrazia, si arriva al giorno dell'inserimento in classe del bimbo. La dirigenza scolastica aveva, secondo me più che giustamente, allestito una “festa dell'accoglienza” per dare il benvenuto al nuovo arrivato e favorire la sua integrazione con i nuovi compagni. Risultato? Nessun bambino si è presentato. A quanto pare la festa è stata boicottata dai e dalle genitor scolasticus attraverso quell'immondo strumento che sono le chat di classe dove, più che discutere i problemi legati alla didattica e partecipare democraticamente ad una scuola condivisa, si veicolano cattivi sentimenti, pettegolezzi, esclusione, veleni.


Che effetto può fare su di un bambino di otto anni una festa di benvenuto dove non partecipa nessuno? Psicologicamente ha un effetto devastante. Ogni madre e padre di quella chat, di quella classe, avrebbe dovuto porsi l'interrogativo minimo: se fosse capitato a mio figlio? Quali effetti può avere sull'autostima, sulla capacità di socializzare, sullo sviluppo psicologico del bambino?

Soprattutto, se il ragazzino capisce (e lo capisce) che il problema sono state le sue capacità, non tenderà ad autocensurarsi, a negarle, a castrare la propria intelligenza?

Ma più che i genitori sotto accusa deve finire quella parte della scuola che vede in un alunno sovradotato un problema invece di un'opportunità. La confort zone della routine quotidiana non deve avere la meglio su quello che è il compito (direi io la missione) dell'insegnante delle scuole dell'obbligo: dare strumenti culturali, certo, ma dando anche un occhio al corretto sviluppo psicologico, intellettuale e valoriale dei ragazzi. Nessuno pretende la trasformazione dei docenti in psicologi o guru, intendiamoci. Ma quantomeno non si dovrebbero fare danni.


Fino a qualche anno fa la scuola dell'obbligo, sopratutto la scuola elementare, era il fiore all'occhiello del sistema scolastico italiano. Prendiamo atto, purtroppo, di un suo principio di scadimento: contaminata sociologicamente da genitori di ogni ceto sociale che passano da “l'omo io/la donna mia” facendo un uso spropositato della parola “amò” al termine “er mi fijo”, variamente declinati secondo al regione di appartenenza. Contaminata ideologicamente da una visione funzionalista, quasi aziendalista, di mero diplomificio, che proviene dagli istituti superiori.


Faccio i miei auguri al piccolo e ai suoi genitori. Non mollate.

Essere al di sopra della media statistica ed umana, quando non si toglie niente a nessuno e magari un domani si potrebbe anche dare valore aggiunto a tutto il contesto sociale, è una bellissima cosa.


Mario Michele Pascale


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