I bambini israeliani sono diversi da quelli di Sabra e Chatila? Come il benpensante italico mistifica la realtà e creda che possa esistere una guerra senza sangue e di come egli, in fondo, sia solo un piccolo razzista
“Oddio ma li i muoiono i bambini”. Quante volte abbiamo sentito questa frase? Ha accompagnato la guerra in Ucraina, ora viene riproposta per il conflitto di Gaza. Orde di donne (e uomini) in preda ad un malcelato istinto materno (e paterno) si commuovono per le disgrazie dei bimbi.
Verrebbe da dire “è la guerra, bellezza”. Bertold Brecht faceva dire al suo Galileo: “beata quella terra che non ha bisogno di eroi”. Io vi dico “mostratemi una guerra dove non muoiano, oltre a i soldati, vecchi, donne e bambini”.
LA GUERRA DEGLI EROI SENZA MACCHIA
Ci scontriamo con un paradosso: l'Occidente o perlomeno la parte americanizzata di esso, è stato abituato alla “pulizia formale”: è davvero convinto che possa esistere una guerra senza morti.
Vive in una sorta di poema cavalleresco in cui l'uomo in armi avanza sulla sua cavalcatura, con in testa l'aura della santità. Egli è nobile e buono. Uccide solo i cattivi, in genere mostri, draghi, creature fantastiche e fantasticamente cattive, o maligni infedeli. Egli adopera la violenza, ma è una violenza giusta. Il sangue non insozza mai la sua armatura ed il suo vessillo è puro.
La mistica della guerra, soprattutto quella delle guerre “nazionali”, che ineriscono una risposta univoca di un popolo ad una usurpazione o aggressione, vuole un eroe senza macchia: Giovanna D'Arco che combatteva una guerra nazionalista contro gli inglesi, ad esempio, viene descritta come colei che attraversava al galoppo le schiere nemiche brandendo il suo vessillo, armata di tutto punto, senza mai aver ucciso nessuno. Cosa assolutamente improbabile.
CHI MERITA DI MORIRE?
Eppure le guerre sono “sangue e merda”, indistintamente. Si uccide, si stupra, si strupra prima e dopo aver ucciso e i bambini sono comunque vittime. Nella guerra di oggi, per quanto essa possa essere “intelligente”, i bambini sono esposti al fuoco al pari dei soldati. Essi meritano la loro sorte? No. Ma voi credete che un Michail Filipovic di Vladivostok, che fino ad ieri non sapeva nemmeno dove fosse Kiev, che magari è stato un buon amico e un ottimo studente e pensa sempre alla sua fidanzata, meriti di morire? Lo stesso dicasi per un Volodomir di Leopoli, che, in vita sua, magari, non ha mai fatto male ad una mosca. E che dire di Rachele, che passava per caso con sua figlia in una strada dove cadeva un razzo? Meritavano di morire? No.
La guerra, nella sua sanguinaria follia, è livellatrice. Se vogliamo è la massima espressione della democrazia. Di fronte alla morte siamo tutti eguali. Uomini, donne e bambini.
LA GUERRA E TRIBUNALI
La violenza, in una guerra, è costitutiva. Non esiste un conflitto armato combattuto senza violenza, senza morti, senza morti innocenti. Il massimo della banalità è invocare i diritti umani in guerra. Come se un giudice potesse far tacere i mitra e mandare in galera eserciti armati fino ai denti. Può farlo, ad eserciti disarmati. Proprio perché il Terzo Reich era stato sconfitto e privato della sua forza, poté svolgersi il processo di Norimberga. Il diritto può imporsi solo quando un solo soggetto è dotato di forza coercitiva. E' l'uso della forza, adoperata per far scontare la pena, che rende effettivo un verdetto. Senza costrizione la sentenza è solo carta igienica.
In caso contrario il soggetto imputato si opporrà con la forza. Giudici e imputati ricadono in uno stato di guerra di hobbesiana memoria. Si ritorna alla guerra. Passare per il diritto è stato solo una perdita di tempo.
Ma poi un eventuale tribunale cosa dovrebbe sanzionare? Nel corso di una indagine se qualche altro soggetto che non sia l'indagato si macchia di una condotta criminale questa non può essere insabbiata. Un tribunale che, ad esempio, condanna un russo non può e non deve chiudere gli occhi di fronte alla condotta criminale di un ucraino. O viceversa. Altrimenti cade il principio, universalmente riconosciuto, che “la giustizia è uguale per tutti”.
Non sarebbe giustizia, ma solo vendetta arbitraria. Due cose profondamente diverse.
Che dire della pratica ucraina, ad esempio, che colpiva principalmente i rom, pratica che, prima che cadesse la scure dell'autocensura sulla comunicazione nostrana, è stata immortalata da mamma Rai in persona? Gli ucraini rastrellavano gli zingari o quelli che sembravano tali. Li accusavano di sciacallaggio, partendo dal presupposto che, secondo loro, tutti gli zingari rubano. Senza indagine, senza processo, questi venivano picchiati, denudati e legati con il nastro adesivo abbracciati ad un lampione. In bocca gli veniva conficcata una patata, in modo che non potessero parlare. Poi venivano lasciati lì, al loro destino. I rom sono esseri umani come gli altri e hanno gli stessi diritti di chiunque. Eppure venivano denigrati, umiliati, torturati (perché lasciare una persona nuda al freddo, a tempo indeterminato, è una forma di tortura).
SIAMO RAZZISTI INCONSAPEVOLI, MA COMUNQUE RAZZISTI
Ma torniamo ai bambini che muoiono. Per le vite spezzate degli infanti d'Ucraina e di Israele il buon borghese urla il suo disappunto. Ma non sono a bambini anche quelli che muoiono di fame, di stenti e malattie nel Sahel? Muoiono ogni giorno, come mosche. Eppure non mi sembra che per quelle povere ed incolpevoli anime si alzi la voce. E quelli che vivono nei campi profughi palestinesi, non muoiono? Due pesi e due misure.
Razzismo latente? Perché no. I bambini ucraini sono belli e biondi, vivono in famiglie “normali”, si lavano e si vestono come noi.
I bambini del Sahel hanno un colore della pelle diverso, vivono in capanne, e li, si sa, la famiglia è molto lontana dal concetto occidentale.
Un bambino israeliano può essere di fattezze mediorientali o slave o caucasiche. Dipende dalla provenienza dei suoi genitori. Ma Israele è parte dell'Occidente americanizzato. Le famiglie rispettano certi standard, i bimbi sono lindi, puliti ed educati.
I bambini, per i benpensanti nostrani, non sono tutti eguali. In Italia, ad esempio, si è fatto a gara per ospitare i profughi ucraini. I neri muoiono nel Mediterraneo e non li vuole nessuno. Bambini compresi.
POTEVANO ESSERE I VOSTRI FIGLI!
Il buon borghese indica lo scandalo. Ieri: il rave in Italia? Ammazzateli tutti! Sono una banda di drogati, criminali, perdigiorno. Devastano le proprietà altrui. Copulano e ascoltano musica indecente!
Oggi, invece, si piange sui giovani morti nel rave vicino alla striscia di Gaza. Che di certo non meritavano né di morire, né di subire violenze. Volevano solo divertirsi.
Quando sento fior di conduttori televisivi inalberarsi dicendo: “potrebbero essere i vostri figli, potevano essere i vostri figli al loro posto”, se non fossimo di fronte ad una tragedia mi verrebbe da sorridere. Soltanto pochi mesi fa quegli stessi personaggi volevano spellare vivi, se non impalare in modalità Vlad Dracul, i figli degli italiani che partecipavano ai rave ...
LA VIOLENZA LONTANA DA NOI
Muoiono i bambini. In Israele e in Ucraina, ma anche in Palestina e in Africa. Nelle favelas di Rio o di Città del Messico, ma anche nei ghetti dei gloriosi Stati Uniti, i bambini maneggiano armi come se fossero caramelle. Sono esposti quotidianamente alla violenza e alla morte.
Eppure, nelle nostre linde case illuminate dalla TV mainstream, la violenza viene delocalizzata geograficamente ed espunta dalla nostra vita. Abbiamo ritualizzato ed addomesticato il nostro essere violenti, tant'è che reputiamo, in fondo, nonostante la loro gravità, i fatti di sangue qualcosa di “eccezionale”. La “vita normale”, per i benpensanti, è fatta di altre cose.
Certo ci indigniamo per questi episodi, ma poi c'è la nuova puntata di Propaganda live! in televisione.
La vita, ci dicono e ci diciamo, nascondendo la testa sotto la sabbia, è una cosa diversa dalla violenza. Eppure ...
DACCI OGGI LA NOSTRA VIOLENZA QUOTIDIANA
Ogni atto della nostra vita quotidiana è intriso di violenza.
Mangiamo. Per satollare le nostre papille gustative un animale è morto per noi, soffrendo come tutti quelli che muoiono. Ci sentiamo colpevoli di un assassinio? No. Perché? Perché noi siamo in cima alla piramide alimentare? Ma per stare in cima noi esercitiamo la violenza e non certo i buoni sentimenti. Con la forza e la violenza alleviamo, stabuliamo, ingrassiamo, macelliamo. Ogni buona massaia che sceglie con cura la carne per la cena è la mandante di un assassinio.
Eppure per noi è normale.
Ci vestiamo. Per ogni vestito, per ogni paio di scarpe che indossiamo, c'è dietro un mondo che, perlopiù, è fatto di violenza e sopraffazione, di condizioni di lavoro durissime e inumane e che coinvolge, di nuovo, i minori. Quanti bambini si ammalano e muoiono per l'uso di prodotti chimici e coloranti utilizzati nell'industria tessile che da noi sono vietati, ma a casa loro no? Ci sentiamo colpevoli perché indossiamo capi made in India o giù di lì? No, per noi è normale essere mediamente eleganti … col culo degli altri.
Curiamo le nostre afte con medicine miracolose, costose e sempre nuove. Ricostituenti per unghie e capelli, medicamenti destinati alla medicina estetica e il contrasto all'età. Farmaci contro l'obesità e il colesterolo, perché ci alimentiamo troppo e male. Si tratta di gran parte della ricerca scientifica del settore farmaceutico, che drena un'infinità di risorse al sistema. Nel terzo mondo bambini uomini e donne muoiono perché mancano i più elementari presidi medico chirurgici. Dal cloro per rendere (quasi) potabile l'acqua ai banalissimi antibiotici che noi lasciamo scadere nei nostri armadietti. Però quando li buttiamo via, non urliamo “i bambini muoiono”.
In Israele e in Ucraina i bambini muoiono. E per loro, per i loro genitori, io ho rispetto. Fanno bene ad odiare chi li ha uccisi.
Non ho per niente rispetto per l'italico benpensante che urla che in Israele e che in Ucraina i bambini muoiono. Non esistono bambini morti di serie a e di serie b. I bambini di Tel Aviv e quelli di Mariupol sono eguali a quelli nei campi profughi del Sahara spagnolo, del Ciad, del Ruanda e di Sabra e Chatila. Anche quei genitori hanno sofferto e soffrono ancora. Anche loro meritano il nostro rispetto.
Mario Michele Pascale
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